Umberto Risi compie 80 anni
Ricordi di un vecchio amico
di Massimo Fabbricini
Non voglio star qui a dire degli 80 anni che il 31 dicembre compie Umberto Risi come presidente dell’Aniene, per quanto mi sforzo far essere laica la mia interpretazione del ruolo. Vorrei chiedere il permesso di parlare di Umberto da vecchio amico.
Conosco Umberto da quando lui non mi conosceva. Da quando ai campionati Studenteschi e alla Coppa Speranze (la campestre di Villa Borghese o di Villa Ada) io ero del Liceo Classico Giulio Cesare e lui, più grandicello, dell’ITIOMF Armellini, dove Itiomf stava per istituto tecnico industriale orologeria meccanica fine.
Lui tra i migliori, io tra i più appassionati.
Ci siamo conosciuti un po’ meglio più avanti. Sui campi – tra Acqua Acetosa, Terme e Farnesina – dove lui era bravo nel mezzofondo e bravino sui 400 ostacoli (perché l’elasticità del mancato ginnasta della Borgo Prati gli era rimasta) e mio fratello Roberto sprintava forte. Ed erano nella stessa squadra, prima il Club Atletico Centrale e poi il CUS Roma.
Ci siamo conosciuti bene subito dopo, a metà dei favolosi anni Sessanta, quando io ero vicepresidente-bambino del Cus Roma ed avevo cominciato a scrivere di sport (ed in particolare di atletica) sui giornali e lui a forza di insistere era diventato un campione ed a meritare il mio interesse per tutte e due le ragioni.
A trasformare il bell’anatroccolo in un potenziale cigno era stato un nostro comune indimenticabile amico, Renato Funiciello, professore universitario di geologia, studioso per la Nasa di polveri lunari, geniale tecnico del correre. «1+1 fa 2 – fu la sua equazione – Sai come si passa l’ostacolo, più si allunga la distanza più sei a tuo agio, i 3000 siepi sono fatti per te». Ed Umberto cominciò a pensare in grande, a fare sul serio.
Basti pensare che nell’estate del 1966 (o ’67?) andammo in comitiva in allenamento/vacanza a Villaggio Mancuso in Sila – c’erano Umberto, Enrico Spinozzi ed altri atleti di belle o impossibili speranze – pensando di provare l’altura in vista dei Giochi olimpici del Messico. E pazienza se ai 1.289 metri di altitudine del posto ne mancavano almeno 500 per servire a qualcosa…
Ma Umberto andò in Messico e poi agli Europei di Atene e poi a quelli di Helsinki e poi a vincere una medaglia ai Mediterranei di Smirne, battendo cinque volte il primato italiano. Ed io c’ero sempre, o quasi.
E c’ero anche quando col passare del tempo Umberto, Forrest Gump de noantri, allungava le distanze, s’impratichiva con le mitiche Maratone di San Silvestro (di cui era uno degli inventori, soffiando la sera sulle candeline della sua torta di compleanno con il fiato che gli restava), con le “mezze” da protagonista fino ad Ostia, fino ad essere tra i migliori anche sui fatidici 42.195 metri. Ed il nostro amico Franco Milani – lanciatore di martello, pellicciaio di professione, competente di tutti gli sport ed anche dello sci di fondo – che si dannava l’anima per portarlo sulle nevi, convinto che la sua tecnica fosse perfetta da trasferire a racchette e scioline per farlo competere con Franco Nones.
E lì ci siamo persi un po’ d’occhio. Si è messo a fare l’allenatore. Amatissimo dai suoi allievi. Quelli dell’atletica e poi quelli del pentathlon, di cui è stato responsabile azzurro, assolutamente non estraneo ai loro successi.
Ci siamo ritrovati all’Aniene. Nel solco di una tradizione giallo-blù: i colori del Cus Roma, i colori dell’Aniene, per Umberto anche i colori dell’Armellini, della sua scuola dalla quale è cominciato tutto. Ed è storia dei nostri giorni. Qui mi defilo. I protagonisti sono altri. I suoi ragazzi e le sue ragazze. Di tutte le età, a passione crescente. Quelli che guai a chi glielo tocca. Quelli che sanno che «una parola è poca e due so’ troppe». Quelli che hanno sul telefonino il breviario delle sue liturgie di allenamento. Quelli che se girano gli occhi, quando avrebbero la tentazione di fermarsi, lo trovano sempre e vanno avanti.
E sono stati loro ad avere la bella idea di fissare storia e ricordi di Umberto affidandoli alla fantasia geniale di Brividopop ovvero di Marco Innocenti, il Mimmo Rotella 2.0 dell’arte contemporanea, maestro del collage digitale, della fusion artistica del presente e del passato, del sacro e del profano, già incuriosito dal nostro mondo ed autore di tele dedicate a Dino Zoff, a Federica Pellegrini, a Flavia Pennetta ed a Giovanni Malagò per il suo sessantesimo compleanno.