Mazzone e le imprese di Rio: “Niente è impossibile”
Luca Mazzone, insieme ad Alex Zanardi, è stato l’uomo simbolo della spedizione azzurra alle Paralimpiadi di Rio 2016. Entrambi gli atleti del Circolo Canottieri Aniene hanno conquistato due medaglie d’oro e una d’argento nell’handbike, rendendosi protagonisti di prestazioni da incorniciare che hanno entusiasmato migliaia di italiani. Se di Alex Zanardi sappiamo tutto o quasi, la storia del 45enne nativo di Terlizzi merita di essere conosciuta meglio. Nel 1990 Luca rimane vittima di un incidente a seguito di un tuffo in mare che lo vede finire contro uno scoglio e lo costringe alla sedia a rotelle. Appena 19enne, questo ragazzo pugliese dalla volontà di ferro non si perde d’animo e, avendo trascorsi in varie discipline sportive, decide di intraprendere la strada del nuoto paralimpico, per poi passare all’handbike dopo i Giochi di Pechino 2008. Luca vanta nove titoli di campione del Mondo (8 in handbike) e cinque medaglie paralimpiche (2 d’argento nel nuoto, due d’oro e un’altra d’argento nel ciclismo): risultati da fuoriclasse assoluto che parlano da soli.
Quale la molla che dopo l’incidente ti ha spinto a praticare il nuoto?
“Per i diversamenti abili non è semplice fare sport. In molte discipline sono necessari assistenza e strumenti di supporto specifici. Il nuoto, invece, non ha bisogno di particolare ausilio. Mi sono limitato a seguire un corso e, soltanto con un paio di pinne, ho appreso le tecniche di base. Ho capito presto di poter essere competitivo e mi sono messo sotto con gli allenamenti. I Giochi paralimpici di Atlanta erano stati gli ultimi per una generazione di grandi nuotatori, compreso Luca Pancalli. Il ct azzurro mi ha dato fiducia e a Sydney sono partito come una Formula 1, vincendo due medaglie d’argento”.
Poi due rassegne a cinque cerchi senza medaglie e la scelta di abbandonare il nuoto. Come hai deciso di rimetterti in gioco in un’altra disciplina?
“L’handbike mi ha conquistato fin dalla prima volta che l’ho vista a Sydney. E’ uno sport di facile apprendimento, da praticare anche come semplice hobby. Nel 2004 ho acquistato una bicicletta per integrare la preparazione nel periodo di chiusura estiva delle piscine vicino casa mia. Nel 2008 avevo deciso di dedicarmi al ciclismo amatoriale al ritorno da Pechino. In Cina, poi, ho chiesto a Vittorio Podestà qualche consiglio per comprare una bici più performante e lui mi ha incoraggiato a fare sul serio”.
Nel giro di poco hai ottenuto grandi successi, comprese le tre medaglie di Rio…
“Nel 2012 ho partecipato ai campionati italiani e il ct mi ha detto che mi avrebbe convocato per la Coppa del Mondo. Ho conquistato 8 titoli iridati tra il 2013 e il 2016, ma alcuni atleti sono cresciuti molto in questi anni e a Rio non pensavo di fare così bene, sopratutto nella prova in linea. Il percorso piatto non si addiceva alle mie caratteristiche di ‘scalatore’ e per questo mi ero concentrato soprattutto sulla cronometro e sulla staffetta”.
Qual è stata la vittoria più emozionante?
“Il primo oro paralimpico non si scorda. La vittoria nella crono mi ha fatto versare anche qualche lacrima. Non avevo mai pianto prima, neppure ai Campionati del Mondo, ma questa volta non ce l’ho fatta a resistere”.
Poi sono arrivati un argento nella prova in linea e un altro oro nella staffetta mista…
“Nella gara in linea sono stato battuto in volata dall’americano Groulx. L’ho attaccato ripetutamente, ma il tracciato non mi ha consentito di staccarlo. E’ stato un grande risultato, ma la prossima volta cercherò di essere più furbo. Ho poca esperienza in materia di volate, devo migliorare. Anche l’oro nella staffetta mista con Zanardi e Podestà è stato molto emozionante, ci tenevo tanto”.
Quanti sacrifici sono stati necessari?
“Le bici in carbonio hanno costi elevati e, a differenza del nuoto, il ciclismo paralimpico è uno sport che richiede buone possibilità economiche. Grazie all’Aniene, oltre che a qualche amico, mi sto dedicando all’handbike come un professionista. Mi alleno quattro ore al giorno, passo molto tempo a sistemare la bicicletta – che per me è come una fidanzata – e sto attento all’alimentazione. Il tutto senza dimenticare mai la mia famiglia, anche quando sono lontano. D’estate allenarsi in Puglia è impossibile e quest’anno ho chiesto alla federazione di prolungare il periodo nel ritiro di Rovere. Sono rimasto solo come un monaco buddista, ma i risultati di Rio hanno premiato i miei sforzi”.
Tokyo 2020 è già nel mirino?
“La mia testa direbbe di sì, ma occorre vedere come risponderà il fisico. Nel 2020 avrò 49 anni. Per ora l’obiettivo sono i Mondiali del 2017 in Sudafrica, dove cercherò di difendere la maglia iridata. Preferisco ragionare anno per anno”.
Gli atleti paralimpici sono portatori di un grande messaggio. Ne avverti il peso?
“Me ne rendo conto e per questo faccio sempre il possibile per partecipare a tutti gli eventi ai quali vengo invitato. Possiamo essere d’aiuto non solo a chi ha subito traumi o avuto incidenti. Le nuove generazioni, attraverso il nostro esempio, devono capire che la parola impossibile non esiste e che arrendersi alla crisi o alla disoccupazione sarebbe sbagliato. Dopo Rio ho ricevuto una serie infinita di attestati di stima sui social. Proprio per questo vorrei rivolgere un appello ai media e, in particolare, alle televisioni. Gli sport paralimpici meritano maggiore visibilità, perché sono utili a veicolare messaggi davvero positivi”.
(Giacomo Luchini)