La finale: sospetti fondati
Ha vinto Celani sull’H.Filosa per due a zero. I gol di De Bac e Gilardoni, arrivati a secondo tempo ormai inoltrato, hanno suggellato una supremazia non netta, ma percepibile, che ha accompagnato i Celani per tutto il torneo.
Chi ha visto la gara, per tutto l’incontro era lì che aspettava che, da un momento all’altro, i Celani potessero segnare. Ma ogni volta quella sorta di sintesi cromosomica tra Buffon e Donnarumma, che risponde al nome di Elio Tartaglia, prolungava quell’aspettativa di ulteriori minuti, spostando l’attesa sempre più in là.
Alla fine, però, tutto secondo le attese, a dare conferma dei sospetti, sul nome del vincitore finale, che si erano diffusi, da giorni, nell’ambiente calcettaro del Circolo.
Ma se questa finale ha dei vincitori, facilmente individuabili in Gregorio Albini (un signor portiere), nel Marchese Di Bagno (conosce qualunque traiettoria del pallone, e le recita tutte ogni volta a memoria), nei ragazzini terribili Celani e Fabbri (il futuro del nostro Circolo), nei gemelli del gol De Bac e Gilardoni (lo dico ora, che siamo ad aprile: quest’anno rischiamo di arrivare in finale, nei tornei che contano, con due squadre dell’over 50), nell’invalicabile Lirosi (l’uomo che ha riscritto le misure del campo di calcetto) nello stratega Carlo Celani (la mossa di chiedere di poter inserire il proprio figlio “piccolo” in squadra non l’avrebbe pensata nemmeno Machiavelli) gli sconfitti non sono certo i Filosa, che hanno giocato una grandissima fase finale, ed hanno visto premiati, come migliori nei rispettivi ruoli, mister Maspes, il presidente Filosa, la mezza punta Vavalli (giocatore davvero fortissimo) e, va da sé, il monumentale Tartaglia.
Gli sconfitti, difatti, sono altri.
Non sono certo i ragazzi terribili di Paco Vaccaro, la nota davvero più bella di questo torneo, che sono la prova vivente degli enormi meriti di Paco, che ogni giorno semina, con competenza e passione, per il futuro dell’Aniene.
Non certo Roberto Mancini e Riccardo Rezza, saliti comunque sul podio per il premio del gol più bello del torneo, che, alla fine del ballottaggio tra tre segnature (per tutte e tre, chi vi scrive, stante l’incomprensibile assenza, sulle reti nazionali, di riprese filmate, ha provato, nelle scorse settimane, a descriverne, uno ad uno, la straordinaria bellezza) è risultato quello segnato dal tecnicissimo Gabriele Giuffrida. Non certo il Presidente Onorario, e mi alzo in piedi mentre scrivo queste parole, che non solo ha dedicato il suo tempo per assistere all’incontro, ma ha partecipato attivamente alla premiazione finale, rinnovando la sua fiducia ad un organizzatore come Raffaele Mirigliani Compagna, che gestisce, senza sbavature, una manifestazione che non si capisce come non vada in diretta su Sky. Non certo, ancora, Yuri Picciotti, la cui inarrivabile statura, sportiva ed umana ha trovato conferma durante lo svolgimento di questo torneo.
Gli sconfitti, come dicevo, sono altri, e sono due in particolare.
Ricorderete che, all’esito delle semifinali, avevo preannunciato il rischio che saremmo stati chiamati ad assistere ad una nuova puntata di In Treatment, dal titolo “Riccardo: mercoledì ore 17”.
Fummo facili profeti nell’individuare il nome, sbagliando, però, il cognome. Che è quello di Barra.
Ebbene sì. Riccardo Barra, l’uomo a cui, se la Storia avesse una logica, dovrebbe essere intitolato qui da noi, così come è stato per Cristiano Ronaldo a Madeira, non dico l’aeroporto di Fiumicino, non dico quello di Ciampino, ma almeno quello dell’Urbe, fosse solo perché si affaccia su quel fiume sulle cui rive insistono i migliori campi di calcetto della capitale, nel quale il nostro sono quarant’anni che spiega ed insegna questo gioco.
Ma quello che è successo in quella semifinale, in cui ha visto, all’ultimo minuto, l’uomo che aveva un appuntamento con la storia sul secondo palo, segnare a difesa schierata, è stata una mazzata psicologica che l’ha costretto a giorni difficili. Ma mai quanto oggi, quando lì, a bordo campo, mentre guardava quella finale che doveva essere la sua finale, ha visto entrare in campo, a pochi minuti dalla fine, addirittura Carlo Longari, uomo i cui meriti professionali e finanche estetici, ma certo non sportivi, almeno con riferimento al calcetto, sono noti. Ecco, quel momento è stato, per lui, diciamo così, devastante. In quel momento, difatti, c’è chi l’ha visto alzarsi dalla tribuna ed allontanarsi dall’impianto. E c’è chi dice di averlo visto con una lacrima scorrergli sul viso, pronunciando frasi del tipo “non è questo il calcetto che conosco, non è più il mio calcetto”, facendo poi perdere le sue tracce lungo l’argine.
Ora, al netto di insensati gesti, che speriamo siano stati sventati, siamo sicuri che, recuperata la riva, supererà questo momento, difficile, non c’è dubbio, e che già lunedì sera si caricherà sulle spalle la nostra rappresentativa over 50 per condurla nell’ennesima finale dell’ennesimo torneo. E a lui, quindi, va tutta la nostra vicinanza, perché passare per questa settimana, per lui, vera leggenda del calcetto, è stata certamente impresa non da poco.
Ma il vero sconfitto, ancora prima di Barra, è colui che veramente ha perso tutto quel poco che aveva costruito prima di questo torneo, e che è facilmente individuabile in uno dei portieri della squadra Picciotti, di cui però mi sfugge il nome. Perché quel portiere pensava, e lo so per certo, di uscire, dopo ogni partita giocata, tra due ali di folla, ma festante, non insultante, come viceversa è stato, a causa delle sue prestazioni prive di contenuto. E, soprattutto, perché ha avuto la capacità, una volta chiamato a raccontare ciò che era stato, di far arrabbiare questo e quello. E questa, tra le tante vittorie di questa meravigliosa edizione del nostro torneo, è stata la sconfitta, almeno per lui, più difficile da digerire.
Arrivederci, quindi, alla prossima edizione. Già sapendo che ne avremo sempre di belle da raccontare. Comunque vada.