Il ricordo/Emilio Trivini, il coach introverso amato da tutti
A distanza di qualche mese, il consocio Andrea Rocchegiani, ex canottiere del CC Aniene, ha scritto un ricordo di Emilio Trivini, storico allenatore del Circolo scomparso lo scorso 27 agosto a Roma (Trivini era nato a Dongo, in provincia di Como, il 4 aprile 1938). Nella sua carriera di atleta, Trivini ha vinto la medaglia d’argento nel “quattro con” ai Giochi olimpici di Tokyo 1964. Sempre nel 1964, con lo stesso equipaggio olimpico formato da Renato Bosatta, Franco De Pedrina, Giuseppe Galante e al timone Giovanni Spinola, Emilio ha vinto anche il bronzo agli Europei di Amsterdam. Emilio Trivini è stato allenatore di generazioni di atleti che in lui hanno avuto un grande maestro di vita e di tecnica di voga con i colori del CC Aniene e del Tirrenia Todaro.
di Andrea Rocchegiani
Emilio Trivini ci ha lasciato. Uno degli allenatori più carismatici e vincenti che il Circolo Canottieri Aniene abbia mai avuto, l’atleta capace di vincere la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Tokyo 1964 e ottenere il quarto posto in quelle di Città del Messico quattro anni più tardi, non c’è più.
Le sue esclamazioni, le sue esternazioni, il suo imporsi, la sua congenita indomabile voglia di essere l’unico uomo al comando sono qualità ancora fresche nella nostra memoria. Trivini è stato l’allenatore di tutti e non ha mai avuto prediletti. La squadra, l’equipaggio davanti a tutto, il suo adorato “quattro senza” è sempre stato al centro di qualsiasi progetto.
Certo, ha sacrificato molti atleti pur di raggiungere il risultato ma il suo carisma e la sua competenza erano tali che nessuno lo ha mai messo in discussione. Ognuno di noi atleti ha sempre ben accettato le sue scelte. E non dimentichiamoci che per molti atleti di altre società era addirittura l’allenatore invidiato, stimato e tanto sognato.
Emilio era un uomo di poche parole con la sua educazione nordica. Aveva un modo assai diretto e spesso, per questo, appariva agli occhi dei più un uomo introverso, quasi scorbutico. Invece, nulla di più falso e lo hanno testimoniato in molti presentandosi al suo funerale, segno di una vicinanza non comune. Più di una generazione di canottiere appartenenti a tutti i circoli romani gli sono stati vicino e lui, a testimonianza della sua insospettabile disponibilità nell’ascoltare, ha sempre avuto un gesto importante nei loro confronti.
Raccontiamo un piccolo aneddoto per far comprendere quanto fosse importante per noi atleti. Ci diceva sempre che la mano l’avrebbe stretta solo a chi avesse conquistato almeno una medaglia ai Mondiali. Ebbene, quando riuscimmo a prendere quella agognata medaglia, la togliemmo dal collo e corremmo verso di lui per la sua stretta di mano che per noi contava il doppio.
Ricordo quando ci raccontava che da giovane per guadagnarsi da vivere scalava le montagne sopra Dongo, sul lago di Como, con lo zaino in spalla per arrivare in Svizzera con il suo carico e il pomeriggio andava ad allenarsi.
Tanti presidenti del Circolo – Rodolfo Guzzi, Dario Carfagni, Giovanni Malagò per citarne alcuni – si ricordano ancora le memorabili discussioni al termine delle quali spesso intimava le sue dimissioni.
Ciao Emilio, noi che ti abbiamo conosciuto conserveremo per sempre il tuo spirito di sacrificio, la tua tenacia, la tua correttezza, il rispetto degli avversari, l’accettazione della sconfitta e la sdrammatizzazione che serve per superare i momenti difficili.
Ciao grande Capo.