Cervelli in fuga: il caso Cancellieri
– di FEDERICO VECCHIO –
I più affezionati lettori si chiederanno le ragioni per cui, così, all’improvviso, nel bel mezzo del torneo, abbia avvertito la necessità di interrompere il racconto di risultati e prestazioni per dedicare la mia, e la vostra, attenzione ad un sol uomo. E le ragioni vi saranno ben chiare non appena evidente che il nostro protagonista, di cui mi accingo a scrivere, non è un semplice socio del nostro Circolo, coinvolto in qualche vicenda umana, fatta di incomprensioni, delusioni, speranze disattese, ma è, viceversa, il paradigma di un dramma sociale, che colpisce, quotidianamente, centinaia di migliaia di giovani costituenti la nostra migliore gioventù, e che può essere sintetizzato con tre parole: cervelli in fuga.
E già, perché, se non fosse ancora chiaro, qui parliamo di qualcuno che è stato costretto a lasciare il nostro Paese, per farsi conoscere, ed apprezzare, da tutt’altra parte, costretto ad imparare un’altra lingua, altri costumi, ma mai dimenticando di costruire, insieme al suo futuro, prima di tutto se stesso.
E dopo che quest’uomo tutto questo ha realizzato, e dopo che ha pensato bene che fosse arrivato il momento di tornare qui, da noi, dentro il raccordo anulare, per distribuire tutta quella ricchezza che aveva acquisito, e farcene beneficiare, ecco, proprio da qui, proprio da questo punto, proprio da questo momento, inizia un’altra storia. Non più fatta di successi, di riconoscimenti, di plausi, ma fatta di incomprensioni, di delusioni, di asprezze. Una storia nella quale la lungimiranza di pochi si scontra, inevitabilmente, con la miopia di troppi. E se oggi, quindi, siamo qui a scriverne, è per rendere giustizia, prima che al calciatore, all’uomo Carlo Cancellieri.
Nella giornata di domenica 19 febbraio, mentre molti di noi erano con il fiato sospeso in attesa di conoscere gli esiti, sportivi e non, dei tanti eventi che caratterizzavano quella giornata, alcuni, non secondi a nessuno, si vedevano recapitare una mail indirizzatagli dal nostro, con cui questo reclamava giustizia ma, prima ancora, rispetto.
In quella mail, l’uomo era costretto a ricordare, cosa che mai avrebbe fatto se non costretto dagli eventi, i suoi innumerevoli trascorsi e successi. Ricordava, dapprima, con manifestazione di evidente umiltà, il suo status di calciatore non professionista, per passare ad elencare, subito dopo, i suoi successi calcistici (su tutte, le sue trecento marcature, ma evitando, con elegantissima discrezione, di ricordare su quali campi ed a quali portieri le avesse segnate) e denunciare, con forza, la circostanza di non essere stato impiegato, per ben quattro partite consecutive, nel torneo sociale, malgrado regolarmente tesserato con la squadra Murino, che l’avrebbe acquistato, a suo dire, a peso d’oro (“Trattato come un Fratino valutato come IBRA”). Lui, che di sé ricordava ancora, con malcelata timidezza, di aver vinto ben venticinque tornei a Roma Nord, ben tre tornei disputati lungo la Via Due Ponti, e di essere stato alla base dei trionfi ottenuti, in Inghilterra, dal Manchester City che, evidentemente sbagliando, molti di noi avevano attribuito ad altro italiano, peraltro da poco divenuto anch’egli socio del nostro circolo, e non al protagonista di questa storia.
Ma colpiva, e molto, il pdf che allegava alla propria mail, riportante il frontespizio di un’opera dottrinaria in materia di gestione sportiva, e, ancora, il contenuto del proprio cv, nel quale primeggiava, tra le tante indicazioni in esso contenute, quella di essere in possesso di “patenti e permessi per viaggiare ovunque”, a fugare il dubbio, sorto magari a qualcuno che avesse avuto di lui una conoscenza superficiale, che il nostro fosse stato oggetto di un qualche provvedimento a carattere restrittivo.
Ebbene, quello che quest’uomo chiedeva, e chiede, è solo quello di dimostrare quello che ha già dimostrato altrove ed in tutti i settori in cui si è cimentato, e cioè le proprie capacità. Nel nostro caso, calcistiche. Ed è per questo che si è rivolto a chiunque, in una mail indirizzata a questo e quello, per chiedere solo di poter essere tesserato in altra squadra del torneo, per dimostrare, lì sì, tutto il suo valore.
Ed io mi associo a questa sua richiesta. Con la speranza che questa mia denuncia dia veramente la possibilità a quest’uomo, un altro “cervello in fuga”, di trovare finalmente spazio e, con esso, serenità. Ma qui da noi, a casa nostra. Perché sarebbe un peccato gravissimo non cogliere al volo l’occasione che il caso ci sta offrendo. Perché se è vero che i migliori se ne vanno a cercare fortuna altrove, è anche vero che qualche volta ce li rimandano indietro.