Ai consoci romanisti (tra cui Francesco Totti)
Leggo che quanto accaduto questa sera valga più di cinque scudetti, più di dieci, forse più di molti altri ancora. No. Non credo che sia così. Quanto accaduto stasera può essere quantificato soltanto con una diversa unità di misura, che non è data dalla quantità o dall’importanza di un successo, di una vittoria, ma da altro e di diverso: dal senso di appartenenza. Di un popolo con una squadra, di una squadra con un suo giocatore. Quando non avevo ancora l’età della ragione, c’era chi mi ripeteva che nella vita tutto passa, tranne la Roma. Era così. E’ così. E stasera ne abbiamo avuto la prova. Perché stasera le sue lacrime erano le mie, erano di quello che mi sedeva accanto, dell’altro che sedeva qualche fila più in là, o ancora nell’altra tribuna, o in curva. Stasera non c’era bisogno di parole. E’ stato un tutto unico. Lui, le lacrime dei suoi compagni, le nostre. Se è vero che la storia di un popolo è data dalla memoria di ciò che è stato, stasera la memoria di tutti noi romanisti ha usato le medesime parole per raccontare gli ultimi vent’anni. Nessuna divergenza, nessuno scostamento. Abbiamo vissuto tutti gli stessi sentimenti, pianto le stesse lacrime, sentito la felicità di essere parte, tutti insieme, di qualcosa che appartiene indistintamente a ciascuno di noi, a tutti, nessuno escluso.
Stasera non si sono vinti scudetti, coppe, derby. Stasera si è vissuto qualcosa di molto più importante. Stasera si è condivisa la storia delle nostre vite. Tenute strette, una attaccata all’altra, dalla carriera di un solo giocatore. C’erano giovani, persone anziane, uomini che erano giovani vent’anni fa e che ora non lo sono più. Ma lui, come la Roma, in questi anni c’è sempre stato. E noi con lui. Stasera abbiamo avuto la prova che la Roma siamo tutti noi. E questa è una vittoria che appartiene a tutti. E che nessuno potrà mai toglierci.
E sarà fantastico riparlarne tra di noi, al circolo, ancora tra tanti anni. Magari proprio con il consocio Francesco, cercando di fare capannello intorno a lui. E magari facendo finta di non sentire le battute dei consoci laziali, seduti, su qualche divano un po’ più in là. Augurandogli di cuore, anche a loro, di avere la possibilità, un giorno, di vivere qualcosa di simile.