Ottava giornata: i primi addii
– di FEDERICO VECCHIO –
Manca una sola giornata al termine della regular season e, dopo gli incontri di sabato scorso, praticamente tutto è deciso per i play off. E questo, come è facilmente comprensibile anche al lettore meno attento, sta a significare che è il momento della resa dei conti e di aprire i processi, purtroppo spesso sommari, a chi, a torto o a ragione, viene individuato come il capro espiatorio di un’eliminazione difficile da digerire.
Diciamolo subito: nulla da dire sulla banda Vaccaro, che esce davvero a testa alta, malgrado ultima in classifica, comunque vada la prossima giornata. I ragazzini dell’uomo che ha sangue blu e celeste nelle vene hanno, difatti, incantato tutti per voglia e tecnica. Ed ancora di più, semmai possibile, nella partita giocata contro l’H. Filosa, nella quale hanno costretto i monegaschi a vincere di misura, con un uno a zero siglato dal solito Tamburi, a dimostrazione della loro solidità. E se non fosse stato per il solito monumentale Tartaglia (a proposito, per lui l’ennesimo clean sheet) forse oggi la classifica direbbe altro. Ed invece, i numeri ci dicono che l’H. Filosa se ne sta lì, sola, al terzo posto, ad un punto dalla seconda, che è la squadra dei Fabbricini, e seguita ad un punto dal terzetto delle quarte, che rispondono ai nomi di De Matteis, Cecilia e Picciotti.
Ma sono altri i nomi che si ha il terrore di pronunciare. Perché, da sabato, da quando è successo tutto, la gente si incrocia nei locali del circolo, e si scambia solo poche parole (“hai saputo di Cucchiella?” oppure “hai saputo di Murino”?) a voce bassa, con un’espressione tetra, e l’altro immediatamente risponde, spesso con un solo cenno del capo, a dire “purtroppo, sì”, per poi allontanarsi, entrambi con quella tipica postura di due che hanno appena finito di maledire la vita matrigna.
Perché la vita, a volte, è davvero aspra. Murino e Cucchiella, difatti, sabato erano uno di fronte all’altro, in una partita che chiamare spareggio era poco. Era un dentro o fuori che faceva tremare i polsi a tutti, spettatori compresi, figuriamoci ai diretti interessati. E, tra questi, ai veri responsabili di ogni scelta, e cioè Cucchiella, l’uomo che aveva investito tutto se stesso sulla personalità di una serie di maschi alfa, non secondi a nessuno, comprati a peso d’oro, e Rezza, il vero patron della franchigia Murino, che costruisce squadre e palazzi sempre con la stessa unica finalità, e cioè quella di portare a casa il risultato.
E invece no, niente da fare. La partita, pur bellissima, si è trasformata, al fischio finale, nella grande beffa. E sì che i Cucchiella erano praticamente al completo, ma non avevano fatto i conti con S. Depetris, il quale, contati sulle dita di una mano i pochi giocatori disponibili, impostava una partita che definire difensiva è dire poco. Ed a nulla è servito, per gli ex invincibili, il vantaggio iniziale per due a zero, e meno ancora lo splendido gol con cui Mancini li portava sul tre ad uno, perché S. Depetris, che di calcetto ne conosce, si inventava la mossa a sorpresa: davanti Murino e tra i pali il cestista Bottai. E, a quel punto, la partita diventava altro, per chiudersi, allo scadere, con il pareggio dei Murino (rectius, dei Rezza) grazie al solito Merlo, ormai abbonato ai gol segnati a tempo più che scaduto. Ed il silenzio tombale che scendeva su quel campo, un secondo dopo il fischio finale, avrebbe meritato, come colonna sonora, non il sommesso brusio degli increduli spettatori, ma qualche lirica di Morricone. Ad accompagnare la passarella di uno sconsolato Cucchiella, dal campo agli spogliatoi, prima che di lui si perdesse, ancora oggi che scriviamo, traccia. Ma il silenzio più rumoroso l’ha causato il tonfo di Rezza, che era sicuro che questo fosse, finalmente, il suo anno, dopo che era arrivato al punto di sponsorizzare anche gli arbitri. Chi l’ha accompagnato negli spogliatoi, ha raccontato di uomo distrutto ma mai domo, che avrebbe sospirato più volte, tra le labbra che il prossimo torneo proverà a vincere comprando, dopo le divise degli arbitri, anche palloni ed avversari.
Ciò detto, da segnalare, a questo punto, dopo le rumorose cadute, i pericolosi scricchiolii della squadra Picciotti, che ha perso, udite udite, per otto a tre contro i Fabbricini. E sì che la partita si era aperta con un gran gol del solito Van Basten Abrignani, su cui, però, qualche responsabilità di Albini padre, nel ruolo di portiere avversario, c’era tutta. Ma poi la squadra Picciotti ha dovuto fare i conti con le troppe assenze, malgrado la solita muscolare partita di Cancellieri che, primo davanti, faceva reparto da solo. E, alla fine, il risultato era che quel secondo posto, per tante giornate tenuto stretto come un bottino ormai fatto proprio, è praticamente sfumato sul filo di lana, costringendo i ragazzi di Yuri a disputare un quarto di finale di quelli che solo per uomini veri.
Qualche ombra, va detto, sul due a due finale tra De Matteis e Cecilia. Il pareggio, difatti, sarebbe stato il risultato che avrebbe permesso, ad entrambe, la matematica qualificazione ai quarti. E due a due è stato. E sì che, fino a metà ripresa, il risultato era inchiodato sullo zero a zero. Poi, sull’improvviso uno ad uno, ci ha pensato Gabriele Giuffrida, con il gol forse più bello visto in tutto il torneo, a portare avanti i De Matteis quando il tempo era scaduto. Ma il tempo di centrare la palla, di fare pochi tocchi, e il due a due, cioè quel pareggio tanto sperato, si materializzava davanti agli occhi degli increduli spettatori, con le due squadre, al fischio finale, ad abbracciarsi e complimentarsi vicendevolmente. Perché, mai come in questo caso, un punto per uno non fa male a nessuno.
A questo punto, chiuso questo ennesimo capitolo, non ci resta che aspettare l’ultima giornata, che sarà per scaldare i muscoli in attesa delle partite che conteranno veramente. E lì non ci sarà più tempo per il dopo, perché o si resta, o si va casa.