CalcettoNona giornata: gli eroi che non ti aspetti

Nona giornata: gli eroi che non ti aspetti

– di FEDERICO VECCHIO –
Si è conclusa la regular season. Gli esiti ormai sono noti: ci aspettano quarti e semifinali di rara intensità. Ma quello che ci ha lasciato l’ultima giornata è ben altro. E’ un racconto di vita. Meglio, di vite. Perché i veri protagonisti dell’ultimo turno hanno segnato, a diverso titolo, non solo la storia del torneo, ma anche il percorso della storia del Circolo.
Per capire, per capire meglio, dobbiamo partire da una definizione che, ormai, non identifica una singola persona, ma una vera e propria categoria calcistica. Categoria nella quale sono ricompresi, indistintamente, tre ragazzi intorno ai vent’anni, tutti e tre fortissimi a calcetto, tutti e tre fratelli. La definizione è sempre la stessa: “Il figlio di Abrignani”. A quel punto non rileva chiedere di specificare nome di battesimo ed età. Non conta. Chi ascolta quelle quattro parole, magari pronunciate in risposta alla domanda “chi gioca stasera?”, avrà da subito la certezza che al campo si presenterà un giocatore fortissimo, a prescindere che al campo si presenti l’uno o l’altro.
E la dimostrazione, plastica, di quanto vado scrivendo, si è avuta l’altra sera, quando tutti e tre i fratelli Abrignani sono usciti dal campo, dopo le rispettive partite, portandosi via il pallone per le triplette che ciascuno di loro ha realizzato.
Ed allora, un po’ come per i purosangue, è evidente che il segreto di questo successo familiare deve avere un’origine comune. Che, altrimenti, non si spiegherebbe. E la ricerca di questo comune denominatore è facile ed immediata: chi ha regalato al Circolo questa meravigliosa stirpe di fenomeni è Ignazio Abrignani, padre di questa nidiata, che, come la famiglia Sentimenti, sta segnando e segnerà a lungo la storia del calcio, quantomeno nei campi di calcetto ricompresi nel raccordo anulare.
E tutto questo fa sì che Ignazio viva, come solo il padre dei Baresi, dei Ferri, dei Boateng, emozioni precluse a molti, e cioè quella di poter guardare una partita di calcio sapendo che, comunque finirà, sarà, per l’orgoglio di padre, un grandissimo successo.

La sola nota stonata di questa storia è data dalla circostanza che nulla si sa di un eventuale passato calcistico di Ignazio. Nessuno ne parla. Nessuno sa se abbia mai messo piede su un campo, magari anche solo in pozzolana, per dare un calcio ad un pallone. Niente, il nulla assoluto. E sì che chi vi scrive è nato a pochi passi da quella Marsala che ha dato i natali al nostro. Ma nessuna informazione è trapelata, nemmeno dalla Trinacria, a dimostrare che, fosse anche solo al tempo della primina, il pallone non avesse per lui misteri. E invece niente. Il che lascia tutto avvolto nel mistero, e lo autorizzerà a dire, tra qualche anno, quando sarà oramai impossibile ripercorrere, con la memoria, ciò che è stato, di essere stato, in gioventù, forte quanto i figli. Magari raccontando ai molti nipoti che sì, papà sarà stato bravo, ma perché non hai mai visto giocare nonno…

Da un padre che fa parlare di sé per le imprese della propria discendenza, ad un padre che, invece di far parlare per le imprese dei propri figli, fa parlare delle sue di imprese, perché occupano qualunque spazio.
E qui va fatto un passo indietro, sia pure breve. Il nostro, difatti, appena entrato al Circolo, si era fatto conoscere per un’esuberanza atletica a cui non corrispondeva una tecnica, diciamo così, sopraffina. Ma, si sa, la volontà può quello che la natura sembrerebbe negare, ed il nostro si imponeva, nel perimetro del campo di calcetto, per una presenza costante, unita ad una grinta che nasceva da dentro, da una rincorsa lontana, fatta, evidentemente, di troppe partite magari non giocate, o magari giocate ma con un ruolo di contorno, di quelli che torni a casa e nessuno ti chiama per commentare.
Sta di fatto che, l’altra sera, all’annuncio della formazione Picciotti, ci si rendeva conto, in un attimo, che la presenza del nostro fosse necessaria per tutta la durata dell’incontro, perché indispensabile per rispettare le norme regolamentari sugli over 50.
E, a quel punto, il nostro, resosi conto che quella partita era la sua partita, che nessuno avrebbe potuto dirgli “vieni un attimo fuori, respira un attimo” per poi non farlo rientrare più, ha combattuto quella partita come se non vi fosse un domani, trascinando la sua squadra alla vittoria, e passando sopra tutto ciò che gli si parasse davanti, fosse anche il gladatorio Catalano. Sta di fatto che, ad un certo punto, il sig. Mariani da Roma non poteva far altro che espellere il nostro, perché si era capito che non avrebbe mai potuto perdere, ma si era capito anche che avrebbe potuto eliminare fisicamente chi si fosse frapposto tra lui e la rivincita di una vita.
Ed è per questo che oggi rendiamo onore a questo eroe di altri tempi, che ha dimostrato che nella vita non conta il successo economico, né quello professionale, né, e non sappiamo se sia il suo caso, quello sentimentale: quello che conta è il pallone, è tornare a casa e mettersi a letto felice, è svegliarsi il giorno dopo e sentire, dentro di sé, di aver realizzato qualcosa di epico, è sapere che quando ti affaccerai al Circolo, gli amici ti guarderanno con quegli occhi che glielo leggi dentro che hai giocato bene.
Ed allora è giusto rendere omaggio a questo eroe, che, quasi fuori tempo massimo, ha fatto realizzare, a quel ragazzino che è stato, il sogno di essere protagonista e di vincere una partita, sogno che la vita gli aveva, fin qui, negato. Onore, quindi, a Marco Maffei. Che è il nostro campione. Di quelli come lui, come noi, che hanno sempre sognato una partita così.