Sesta giornata: i cambi di Cucchiella e ‘The Wall’ Lirosi
– di FEDERICO VECCHIO –
C’è un momento, nella vita di ciascuno, in cui rimane impressa, nella memoria, un’immagine, che sta lì, nel tempo, a disturbare quelle poche certezze che l’essere umano ha puntellato nel percorso di una vita. Sabato, purtroppo, e l’avverbio non è usato per caso, gli spettatori che gremivano gli spalti del campo principale, durante l’incontro Cecilia – Cucchiella, sono stati costretti a vivere qualcosa di inimmaginabile.
Ma procediamo con ordine.
L’incontro tra i Cecilias e gli ex invincibili era di quelli che aveva richiamato sugli spalti una gran folla. Da una parte, difatti, oltre al blocco dei fratelli Edoardo e Marco Valerio Cecilia, generato dai generosi (calcisticamente parlando) lombi di papà Roberto, brillava la stella di Perrone, mentre, dall’altra parte, oltre ai soliti noti Malagò, Bolla, Conte, Natoli, il nome di Roberto Mancini richiamava spettatori come formiche, ansiosi di vedergli effettuare giocate non comuni.
E, va detto subito, la partita non deludeva le aspettative, consegnando alla storia del torneo un 4 a 3 finale, a favore dei Cecilias, grazie alla doppietta del sempre più convincente Marco Valerio Cecilia ed alle marcature del fratello Edoardo e di Abrignani M., uno dei tanti fenomeni calcistici di casa Abrignani, all’esito di una partita in cui gli ex invincibili non mollavano fino alla fine, regalando tre gol particolarmente belli. Ma, mentre la marcatura di Natoli poteva essere ricompresa nel concetto di “bello”, quelle di Mancini e Conte dovevano essere annoverate in una categoria ben superiore. Conte, difatti, da punta con una storia gloriosa alle spalle che non accenna a finire, prendeva un pallone lì, nel traffico, e, solo, come soli sanno essere gli uomini che fanno la storia, lo metteva in rete contro la volontà di arbitro ed avversari. Ma il gol di Mancini ricordava, soprattutto ai tifosi dell’altra squadra della Capitale, momenti epici. Segnava, difatti, di tacco, rendendo vivo un pallone praticamente agonizzante, che nulla aveva più da chiedere a quell’azione. Quel pallone, difatti, colpito dal suo tacco, prendeva davvero vita, ed andava a spegnersi dentro la rete avversaria, tra il tripudio del pubblico presente.
Ebbene, mentre negli occhi tutto questo rimaneva impresso, e la gente già era pronta a ritornare a casa, abbracciare la moglie, e raccontare, come legittima giustificazione per un sabato pomeriggio non passato, come sarebbe stato doveroso, al supermercato a spingere carelli, di aver visto cose che voi umani, ecco lì che arrivava quel momento che non vorresti mai vivere. Momento, va detto, le cui avvisaglie si erano già avvertite, per i più sensibili conoscitori di vicende calcistiche, quando ci si era resi conto che Cucchiella, in qualità di mister, aveva precluso il campo, nella girandola di cambi, a Malagò e Bolla, cioè alla Storia del calcetto non solo del nostro Circolo, ma dell’universo mondo. Ed ecco lì che, in un attimo, nella storia di tutti i presenti, non solo di quella della sola partita, succedeva ciò che non sarebbe mai dovuto accadere: fuori Mancini e dentro, per Mancini, Dodo Bizzarri. Quell’immagine, fatta di Mancini che usciva e di Bizzarri che entrava, produceva, nei presenti, brividi, come solo lo stridere del gesso sulla lavagna. Va detto subito, senza che alcuno si offenda, che Dodo Bizzari è un signor giocatore, come già ho avuto modo di scrivere. Ma che, ovviamente, sta a Mancini come un mio disegno dell’asilo può stare ad un affresco della Sistina.
Ed in quel momento, in quel preciso momento, tutti gli spettatori, nessuno escluso, hanno capito che il momento era così grave che, una volta tornati a casa, gli sarebbe bastato dire alla moglie, fuori di sé come un’erinni per la mancata assistenza alla Conad, “ho visto uscire Mancini per fare posto a Bizzarri”, che la poveretta si sarebbe sciolta in un abbraccio, rincuorando il marito per quanto accaduto, accompagnandolo sul divano e promettendogli un aperitivo mentre poteva provare a scacciare quell’immagine dagli occhi godendosi, su Sky, l’Atalanta di Gasperini, e garantendo che, per la serata, avrebbe disdetto qualunque impegno, per paura che quell’uomo, a tavola con amici o seduto al suo fianco in un cinema o in un teatro, ripensando all’accaduto si potesse abbandonare in un inconsolabile pianto.
Detto questo, e sperando di non vivere più situazioni simili, passiamo agli altri incontri.
C’eravamo lasciati, la scorsa giornata, con una domanda: riuscirà Segato a dimostrare che una rondine non fa primavera? Ora, sulla gara Celani – Picciotti, terminata in parità, due a due, va spesa qualche parola prima di dare risposta al quesito. Vi prego, difatti, di trattenere un secondo il fiato, e di perdere qualche momento per leggere queste poche righe che devo dedicare a The Wall Lirosi. Ora, non è un caso che, con in campo Lirosi, la squadra di Celani segni e non subisca gol, mentre, con Lirosi a rifiatare in panchina, i gol non si facciano ma si subiscano. A riprova, non più necessaria, che l’uomo, a cui tutti noi dobbiamo una Coppa Canottieri, sia davvero il top player di questo torneo.
Ma la partita, caratterizzata dalle fenomenali parate di Albini G. e, fino a metà ripresa, da quelle, va sottolineato, anche del nostro Segato, doveva scrivere tutta la sua storia, e sciogliere gli enigmi, solo nel finale. La squadra di Picciotti, difatti, passata in vantaggio con un gran gol, nel primo tempo, dello stesso Picciotti, veniva raggiunta ad inizio ripresa, con un’azione promossa ed impostata da un tecnicissimo Pippo Gasbarri, che offriva la più facile delle conclusioni al figlio della moglie di Celani. Ma, di lì a poco, ecco la risposta al nostro quesito: è vero, una rondine non fa primavera. Perché, dopo la prestazione della scorsa settimana, e dopo un primo tempo che faceva sperare al meglio, ecco lì che tutti gli incubi si facevano realtà. Albini G., difatti, cioè il portiere della squadra Celani, tirava direttamente verso la porta avversaria calciando un pallone appena fuori dalla propria area di rigore. Ora, pensate, per un attimo, quanti secondi sono trascorsi dal momento in cui quel pallone è stato calciato da Albini G. a quando è arrivato dalle parti di Segato. Gli stessi secondi, ad esempio, che passano dal momento in cui state vedendo Sky Tg 24 e vi appare Sky Sport 24 sul televisore dopo aver spinto il tasto “2” del Vostro telecomando. Un’enormità. Ebbene, quell’enormità non è bastata al nostro per neutralizzare quel pallone, che si infilava in rete, senza poter essere intercettato all’esito del solito tuffo, tanto disperato quanto inutile, quando sarebbe bastato restare in piedi, ed accompagnare la palla fuori dallo specchio con un semplice tocco di un qualunque piede, senza necessità di mettere a repentaglio gambe, schiena, braccia. E per fortuna che, nel finale, il solito gol di Van Basten Abrignani D. riportava l’incontro in parità, proprio mentre, nella panchina dei Picciotti, ci si disperava per quanto accaduto qualche minuto prima.
Ma da una carriera di un portiere che torna indietro, passiamo a dire di una carriera di un portiere che riprende ad andare avanti.
Dopo un anno e mezzo di dolori e medici, Sarandrea è tornato finalmente tra i pali, facendo ottenere la prima vittoria alla squadra Murino, che ha battuto la banca Vaccaro per due a zero. La vittoria è stata caratterizzata proprio dalle parate del nostro, che hanno consentito, insieme alla doppietta di Di Bella C., a riportare il sorriso sul volto di un Rezza che sembrava, fino a sabato, inconsolabile. A riprova che questo torneo lo stiano decidendo i portieri.
Non che resta, in queste ultime righe, che ricordare quanto accaduto nell’ultimo incontro, quello che vedeva opposti De Matteis a Fabbricini. Qui, quando la partita sembrava saldamente nelle mani di Fabbricini, grazie alla doppietta di Rossi S. ed ai gol di Minnetti e Giontella, la quadripletta di Abrignani P. (facente parte di una famiglia pari a quella dei Sentimenti di vecchia memoria calcistica) e la marcatura del solito Barra spostavano la bilancia dalla parte dei De Matteis. Che si candidano, al momento, dopo una partenza in sordina, alla vittoria finale.
Martedì si ricomincia. E la domanda, a questo punto, non è solo come avranno trascorso questo fine settimana, dopo quanto accaduto, Mancini e Segato, ma, e soprattutto, come l’avrà trascorso Cucchiella, il cui armadietto, nello spogliatoio, dopo i cambi, ed i mancati cambi, di sabato, è, al punto in cui siamo, decisamente a rischio.